Dialetti del Lazio, Pospettive areale, diacronica e sincronica

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lukiskywalker88
view post Posted on 17/5/2010, 22:39




I DIALETTI DEL LAZIO: PROSPETTIVE AREALI, SINCRONICHE E DIACRONICHE

di Marco Luchi



Premessa dell'autore. Questa che state per leggere è la rielaborazione di un lavoro che ho svolto per un seminario di glottologia. Per tale motivo il linguaggio da me utilizzato in questa è leggermente più tecnico rispetto a quello utilizzato nelle altre discussioni. Inoltre ho operato una sintesi nella speranze di non sembrare, alla lunga, troppo noioso. Temo però di aver reso in questo modo il testo - per così dire - un filo ermetico. Per tanto, qualora troviate espressioni troppo "oscure", non mancate di segnalarmelo ed io sarò ben lieto di chiarirvi le idee. Come al solito non dimentica di muovere eventuali obiezioni.

Prospettiva areale. La regione Lazio non coincide con l'area dei dialetti laziali e fa parte di quella fascia geografica del complesso sistema dei dialetti centro-meridionali in cui si distingue chiaramente:
Lat. -Ō > -o
Lat. -Ŭ > -u
Elementi che accomunano le varietà d'italiano laziali a quelli dell'Italia centro-meridionali:
a) ND > nn, quanno per «quando»;
MB > mm, gamma per «gamba»;
b) Articolazione della consonante labiale sonora: vocca per «bocca», vraccio per «braccio»;
c) Assimilazione del tipo callo per «caldo».
Il Lazio è legato a Umbria e Marche, non solo storicamente, ma anche linguisticamente per tanti caratteri fonologici e morfologici.
Spesso si associa alle regioni vicine per fatti lessicali:

bardasso «ragazzo»;
cupella «piccolo recipiente», cf. lat. CUPA(M);
vago «chicco, acino», cf. lat. BACA(M);
pedalini «calzini»;
ferraiolo «mantello»;
zappo «montone» ecc...

I dialetti laziali parlati nel Lazio sono i seguenti:
Umbro meriodionale-occidentale → parte del viterbese (IIb);
Laziale (III):
Romanesco (IIIa),
Laziale centro-settentrionale (IIIb);
Sabino (IV)

All'estremo sud del Lazio è parlata una varietà di campano, nota come laziale meridionale (IVa).
I numeri riportati dentro le parentesi tonde sono quelli usati da Pellegrini in Carta dei dialetti d'Italia.

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Come segnala Vignuzzi, «[Lazio's] historical conditions (complicated by the effects of pre-Roman ethnic fragmentation, and in the Middle Ages by the presence of Langobards in the Duchies of Spoleto and Benevento) have had a fairly clear effect on the dialectological situation, characterized as it is by a considerable fragmentation and a large number of regional (or rather, subregional) centres of influence: among these Rome is strikingly idiosyncratic [U. VIGNUZZI, p. 311]». Perciò è necessario a questo punto una breve digressione di carattere diacronico.

Prospettiva diacronica. In una prima fase, che sul modello di Devoto e Giacomelli facciamo terminare nel il 21 settembre 753 a.C. (data convenzionale della fondazione dell'Urbe), la civiltà del Ferro detta delle tombe a fossa occupa parte del Lazio, vale a dire dalle frontiere meridionali ai Colli albani.
In questo periodo assistiamo alla corrispondenza tra <t> latino e il <Θ> greco nella realizzazione fonatoria: Cf. gr. ἐρυθρός con lat. rutilus «rossiccio, fulvio».
In séguito, la discesa da Nord delle correnti previllanoviane porta con sé:
1) nuovi elementi lessicali;
2) le consonanti sonore in luogo delle aspirate: DH- iniziale > F -DH- interno > D
Possiamo inoltre assistere a saltuari elementi Sabini nel lessico: rufus, forfex (con -F- interna), bos (con B- iniziale invece di V-).
Possiamo ora passere ad esporre la seconda fase della protostoria dei dialetti laziali che periodiziamo tra questi due estremi: il 753 a.C. e 510 a.C. (anno della cacciata dell'ultimo re di Roma, l'etrusco Tarquinio il Superbo).
In tale periodo possiamo intravedere i confine della patria storica del latino, ossia il Latium vetus (o antiquōm), delineato: a nord dal Tevere, a nord-est del corso inferiore dell'Aniene, a est dalla catena appenninica, a sud da quello che sarà territorio dei Volsci, a ovest dal Mediterraneo.

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Compreso tra Tevere, Arno e coste tirreniche le coste tirreniche, l'Etruria comprendeva tutta la parte settentrionale del Lazio da Roma in sù.

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La terza fase (510 a.C. - IX secolo) è l'età in cui possiamo assistere al maggior numero di mutamenti all'interno del latino: «il latino è cambiato più fra il 500 a.C. e il 350 a.C. che dal 350 a.C. al 1000 d.C. Nel vaso di Dueno si legge la parola iovesat che nel latino classico diventa iurat per rimanere pressoché immutata fino all'italiano giura (G. DEVOTO-G. GIACOMELLI, p. 89).» Con la fine della monarchia (510 a.C.), Roma non ebbe la forza politica per garantire una stabile uniformità linguistica. I Volsci, etnia linguisticamente umbra, occupano l'attuale regione pontina (metà del V sec. a.C.).
l latino dell'Urbe inizia a prendere strade proprie che lo differenziano dagli altri dialetti e lingue del Lazio.
Il vaso di Dueno (IV sec. a.C.) rappresenta la più antica attestazione del latino "urbano".

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In ogni aree geografiche di lingua latino, la lingua presenta differenziazioni dialettali e oscillazioni di forme proprie caratteristiche: p.e. nella celbre Patera da Faleriī, oggi Civita Castellana (V-IV secolo a.C.) leggiamo: FOIED UINO PIPAFO, CRA CARAFO, che tradotto in latino classico suonerebbe press'a poco Hodiē vīnum bibam, crās carēbo

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Solo in seno al II sec. a.C., quando la varietà «urbana» si imporrà a discapito di quello «rustica», dalla sua sua patria storica il latino si diffonderà gradualmente su tutta la penisola italiana e poi diffondersi per buona parte dell'Europa centro-occidentale e delle coste dell'Africa settentrionale (seconda latinizzazione): p.e. nella celebre lamina dei cuochi falischi (II sec. a.C.), i tratti del latino "urbano" prevalgono su quello "rustico".
Alla fine di questo periodo possiamo osservare questi tre fenomeni:
1) non rimangono che sparute tracce linguistiche dell'etrusco (cf. termini teatrali, tria nomina ecc.) nei territori del Lazio settentrionale;
2) il Lazio centrale e meridionale la tradizione sabina e volsca si fonde coi tratti romani;
3) a Roma si verificano fenomeni di migrazione di genti provenienti da zone linitrofi e non, quali la Campania.

Il romanesco di prima fase. Facciamo ora un salto al 1904, quando Orazio Marucchi nella catacomba di Comodilla presso «basilichetta» dei ss. Felice e Adautto scopri un'iscrizione datata tra VIII e IX secolo (al massimo X), che oggi è considerata uno dei primi esempi di lingua romanza volgare.

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Analizziamo adesso, uno ad uno, tutti i tratti peculiari di quest'iscrizione:
1) NON DICERE è una negazione del tipo particella negativizzante + infinito: una forma seriore del latino
volgare (abbastanza antica, diffuso nella Gallia sett., nella Rezia e nella Dacia);
2) DICERE è morfologicamente tipico del romano volgare (unica forma possibile per tutto il medioevo);
3) ILLE presenta la /e/ tonica derivante da Ē resa col grafema (tratto tipico delle scritture
precarolinge), <i>ille
è un articoloide;
4) SECRITA è plurale collettivo (cf. it. ant. prato/pratora, it. mod. braccio
/braccia);

Ma il tratto sicuramente più interessante è A BBOCE < AD VOCE(M): in questo caso <v> era eseguita come una fricativa bilabiale sonora [β] che in fonosintassi diventa un'occlusiva bilabiale sonora intensa [b:] (betacismo).
Il betacismo è tipico tratto meriodinale del romanesco antico:
cfr. salentino: addù sta' bbài?
«dove stai andando?»
Tale fenomeno era presente anche nell'umbro antico: cfr. umbro benus = lat. ueneris "sarai/sia venuto".
Altri tratti meridionali nel dialetto romano medievale e pre-cinquecentesco sono:
a) Mancanza di anafonesi: lengua, fameglia, ponge "punge";
b) Conservazione delle e atone, specie protoniche: entono, medecina.
Tale fenomeno è presente anche in protonia sintattica: Romano de Roma;
c) Conservazione di ar protonica e intertonica: zuccaro, cavallaria.
d) Fenomeno di dittongamento metafonetico: LAU)RĔNTIŬ(M) > Rienzo.

Tre fenomeni consonantici esemplari:
1) Epentesi di una dentale nel gruppo
liquida/nasale dentale + sibilante:
Polzo ['pol.tso] per polso ['pol.so] > PŬLSU(M)
Penzo ['pen.tso] per penso [pen.so]
2) Assimilazione progressiva nei nessi -ND-, -MB-, -LD-:
ŬNDA(M) > onna,
PLŬMBU(M) > piommo,
CAL(I)DU(M) > callo
Fenomeno spiegato in modo non troppo
convincente col sostrato osco-umbro;
3) Antica la vocalizzazione della laterale preconsonantica: MŬLTU(M) > mòito
Altrettanto antico è il fenomeno di rotacismo: MŬLTU(M) > mórto

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Il romanesco di seconda fase. Nel XV secolo il romanesco subì una forte toscanizzazione a causa della discesa di molti fiorentini durante il pontificato dei papi medìcei (Leone X, Clemente VII) a cui fece da corollario lo spopolamento degli abitanti originali conseguente al saccheggio a opera dei Lanzichenecchi di Carlo V (Sacco di Roma, 1527).
La toscanizzazione non si limita alla lingua scritta e al parlato della classe cólta e coinvolse addiruttura la varietà degli strati popolari: «si anticipa dunque a Roma una dinamica che nel resto d'Italia appare in corso in fase Novecentesca [POLCARO, p.174]»
Tra le conseguenze più vistose della "toscanizzazione" del Romanesco:
1) Dittongamento toscano della vocale anteriore semi-aperta tonica in sillaba aperta tonica:
rom. mod. ['pjε.de], ['pjε.di] vs ant.['pε.de], ['pjε.di]
2) Anafonesi (non attiva prima del XIX secolo):
rom. mod. ['fuŋ.go] vs rom. ant. ['foŋ.go]
rom. mod. ['liŋ.gwa] vs rom. ant. ['liŋ.gwa]
3) Esiti toscani di *[j], *[bj], *[sj]:
rom. mod. [dʒɛ.'la] "gela(re)" vs rom. ant. [je.'la]
rom. mod ['rab.bia] vs rom. ant. ['raj.ja]
rom. mod. [ka.'mi.ʃa] vs rom. ant. [ka.'mi.sa]
4) Riduzione dell'epentesi a poche parole:
['si.ne] si, ['no.ne] no
5) scomparsa, dal XVI secolo, del dimostrativo ['Kwes.so], a favore del sistema toscano (in cui il termine
corrispondente codesto è diventato sempre più raro);
6) Vocale tematica + [o]
[an.'na.o] «egli va», oggi [an.'nͻ]
(['pͻt.tso] «io posso» è oggi percepito come marcatamente meridionale)

Molte caratteristiche non toscane sono ovviamente ancora presenti:
1) conservazione della [e] protonica in tutti i clitici:
roman. [me 'vede] vs tosc. [mi 'vede];
2) [ar] intertonico in luogo del fiorentino [er]
roman, [pen.tsa.'rɔ] vs fior. [pen.tsa.'rɔ];
3) rotacizzazione della /l/ preconsonantica:
roman. [er 'gat.to] vs tosc. [il 'gat.to];
4) -ND- > [nn] e (alcune tracce di) -MB- >[mm]
roman. ['kwan.no] vs tosc. ['kwan.do]
roman. ['gam.ma] vs tosc. ['gam.ba]
L'effetto di -LD- > ll è praticamente scomparso;
roman. ['kal.lo] vs tosc. ['kal.do]
5) Affricazione della sibilante dopo liquida o nasale:
[per.'tso.na] vs [per.'so.na]
['pen.tso] vs ['pen.so]
6) La riduzione (socialmente marcata) di [λλ] a [j] o [jj]
roman. ['pa(j).ja] vs tosc. [paλ.λa]
7) RJ intervocalica > [r], mentre in Toscana si ha [j], particolarmente nei
suff. roman. -['a.ro], -[a.'rɔlo] vs. Tosc. -['ajo], -[a.'jɔ.lo]
8) Diffusione di realizzazione demisonore in forte espansione: cf. [a:'mi:ġa],
9) apocope della sillaba finale degli infiniti:
roman. [par.'la] vs [par.'la.re],
11) vocali tematiche nella 1 pers. pl. dell'indic. pres. continuano le uscite latine:
lat. barb. *PARABOLAMUS > [par.'la.mo]
lat. VENUM-DARE > VENDEMUS > [ven.'de.mo]
lat. FINIMUS > [fi.'ni.mo]
di contro rispettivamente al tosc. [par.'lja.mo], [vend.'dja.mo], [fi,nja.mo]
12)condizionale sia nella protasi che nell'apodosi:
Roman. [se lo sa.'prɛi̯ lo fa.'rɛi̯] vs tosc. [se lo sa.'pes.si lo fa.'rɛi̯]
13) scempiamento del nesso RR, fenomeno generalizzado a partire dal XIX secolo:
CARRU(M) > ['ka.ro]
14) Il cong. pr. è sostito dall'ind. pr. nelle dipendenti
[nuɱ vɔ.jo ke 'ri:di] «non voglio che (tu) rida»;
15) Forma perifrastica stare a + inf. pres. in luogo di stare + gerundio:aò, anvedi chi stà a 'rivà!
Parole romanesco diffuse in Italia: bustarella, caldarrosta, malloppo, ragazzo ("fidanzato").

Dopo quest'amplia descrizione del romanesco è il caso di parlare un po' degli altri dialetti laziali.

Dialetti centro-settentrionali (IIIb). Tratti caratteristici.
1) Ĕ > [jε] presenti che si estende fino a Roma e a Est fino all'Umbria e alle Marche centrali;
2) L'esito toscano -RJ- prima di vocale > -J- (COURIU(M) > cuoio) si è esteso nel Viterbese, cosiccome nell'Urbinate;
3) Nel Viterbese l'influsso toscano (ma anche alcuni modelli dell' "italiana mediana") prevale totalmente sul resto dell'area est della linea Roma-Ancona.

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Sabino (IV). Dialetto parlato in certe aree delle provincie di Rieti, di Roma e de L'Aquila.
1) Nel dialetto sabino e sud-laziale: 3 pl. di tutti i verbi che non siano della 1 coniug. -UNT > -/u/: ['voj.ju] "vogliono" ['pwot.tu];
2) Fenomeni metafonetici che fanno supporre che «anche nell'Italia centro meridionale [...] si sia sovrapposta ad un più antico innalzamento metafonetico, secondo lo schema di metafonia detto «sabino» o «sociaresco» [LOPORCARO p.114]»;
Il vocalismo che si presentava nell'area degli Equi:
1) fenomeni di metafonia meridionale, determinata dalla presenza delle vocali finali -Ī, -Ū, quali la dittonghizzazione delle e aperte [ɛ] e delle o aperte [ɔ], l'oscuramente ulteriore e chiuse [e] e delle o chiuse [o]. Il fenomeno è talmente forte da colpire le vocali anche in sillaba chiusa:
DENTE(M) > dente ['dɛn.te] con è aperta,
DENTI > dienti ['dje.ti] con é chiusa.
VET(U)LA(M) > vecchia
VET(U)LU(M) > viecchiu;
2) chiusura per metafonia di E e O chiuse:
vidi per vedi, vinti per venti,
vui per voi, munno per mondo (fenomeno attestato solo nel Cola di Rienzo e non in altri testi antichi).

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Influenze alloglotte nelle zone di confine. Nelle zone di frontiera con l'Abruzzo ricordiamo il mutamento di -A- interna sotto l'influenza di -I finale (sing. frate vs pl. frete, chente «tu canti») presso Castro dei Volsci e dittonghizzazione della -A- nell'Arpinate (cfr. pierle «tu parli»). «Dall'ispezione delle carte AIS la dittonghizzazione ebbe due centri di irradiazione, Napoli e Roma, mentre i dialetti presentanti metafonesi sabino/ciociaresco costituiscono due aree laterali [LOPORCARO, p. 123] »

Stato dell'arte. Come segnala U. VIGNUZZI (p. 319-321), «alas, there are non comprehensive works on the area under examination [NdR. Lazio, Umbria e Marche]. And the knoledge is poor of the dialects is poor, both as regards geolinguistic description and as regards in-depth examination of individual phenomena.»

___________________________________________

G. DEVOTO, G. GIACOMELLI, I dialetti d'Italia, Bompiani, 2002;
M. LOPORCARO, Profilo linguistico dei dialetti italiani, Laterza, Bari 2009;
G. PATOTA, Nuovi lineamenti di grammatica storica italiana, ilMulino, Bologna 2007;
O. PIANIGIANI, Dizionario etimologico della lingua italiana (www.etimo.it/);
G. B. PELLEGRINI, Carta dei dialetti d'Italia, Pacini, 1977;
E. VINEIS, Il latino, ilMulino, Bologna 2005;

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Edited by lukiskywalker88 - 20/5/2010, 00:06
 
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MarcoTullio1
view post Posted on 17/1/2014, 12:35




Ciao scusa se approfitto di questo blog, ma quello che hai scritto l'ho trovato molto interessante e da profano (non sono linguista e ho poche nozioni in merito) volevo chiederti un paio di domande, così magari mi sciogli qualche dubbio.

Anche se è difficile da ricostruire, l'accento romano della prima fase è da pensare più simile ad un accento umbro (tipo quello dei paesi intorno a Roma) o è più simile a quello attuale? Mi riferisco alla "cantilena" e agli accenti più che ai fenomeni linguistici.
Sempre riguardo questo aspetto, si può dire che la parlata romana attuale o pre-sacco di roma sia/fosse vicina alla parlata latina classica (quella di Cesare e Cicerone per intenderci)?

Il romanesco di adesso lo si fà discendere dall'italiano per effetto della toscanizzazione (ho letto su wikipedia), ma da quanto ho letto in giro e dal tuo post molto è rimasto del precedente dialetto (riesco a leggere la "cronica" dell'anonimo romano solo conoscendo il romanesco attuale). Perchè non si dice allora che discende dal latino, visto che alcune costruzioni sembrano più autoctone che toscane? ("'do stai annà?", "che ciai da fà","sto a venì"...)

ringrazio chiunque possa soddisfare la mia curiosità.
Un saluto a tutti!
 
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Effe
view post Posted on 9/2/2023, 15:27




I veri dialetti del Lazio sono fondamentalmente due: il romanesco moderno e il cosiddetto “laziale centro-settentrionale”.

L’ex-Terra di Lavoro (zona di Cassino, Gaeta e via dicendo) dovrebbe tornare alla Campania, o in caso essere annessa ad Abruzzo/Molise.

La provincia di Rieti e di Viterbo dovrebbero finire in Umbria, d’altronde il viterbese è un dialetto umbro mentre il reatino è un dialetto sabino simile al ternano. Per di più Rieti è storicamente Umbria.
 
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2 replies since 17/5/2010, 22:39   4355 views
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